Arturo Parisi: "Un congresso per il Pd? Sarebbe il primo. I riformisti? Basta assemblee con voto unanime"


(foto LaPresse)
l'intervista
L'ex ministro della Difesa e leader della Margherita: "Tutto si può dire al Pd fuori che la sua guida non sia contendibile. Tra chi si oppone a Schlein battaglie ne vedo poche"
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Professor Arturo Parisi, dopo l’insuccesso referendario, con un Pd a traino della Cgil, sono maturi i tempi per un nuovo congresso? “Congresso? Sarebbe il primo, come purtroppo mi tocca ripetere ancora una volta. Oramai non si ricorda neppure più cosa fosse quello che i vecchi partiti chiamavano congresso. Né si è imparato cosa stia dietro le parole che ne hanno preso il posto”. L’ex ministro della Difesa, storico esponente della Margherita, è uno degli osservatori più acuti delle dinamiche a sinistra. Parlando col Foglio parte da un dato di fatto: “Sono appena due anni che Pd e Art.1 in una assemblea costituente hanno dato vita a quel nuovo Partito Democratico che su iniziativa di Letta ha consentito ad una non iscritta non solo di votare alle primarie ma di essere eletta segretaria. Tra gli applausi distratti di tutti e l’indifferenza dei media. L’unico congresso che conosco è quello che si apre sui media vecchi e nuovi tra esponenti che hanno approvato o ignorato le decisioni sulle quali oggi viene chiesto un congresso”. Giuliano Ferrara sul Foglio è stato molto critico: “Che nel Pd, a parte la gagliarda Pina Picierno, non si levino voci forti e chiare in favore di un’alternativa di programma basata su fatti e numeri, non su immagini e chiacchiere, è scandaloso”. Condivide? “Onestamente oltre a quella di Picierno, l’esponente Pd che ricopre nel Parlamento Europeo la carica più alta, di voci se ne sono levate anche altre”, risponde Parisi. “Individuali e aggregate come ad esempio quelle di Libertà Eguale. Ma nelle sedi formali ridotte a sussurri perché non accompagnate da atti conseguenti. E, se grida, dimenticate perché mescolate al pollaio che a partire dai talk serali qualcun confonde col dibattito politico pubblico. Ma come parlare di partito e di democrazia di partito se su nove ex segretari, piuttosto che aprire un dibattito, i più hanno preferito lasciare la carica senza darne conto in alcun organo, o addirittura lasciare 'insalutati ospiti' il partito: da Veltroni a Zingaretti, da Bersani a Renzi”.
Anche un padre nobile della sinistra cattolica come Pierluigi Castagnetti ha detto che “dopo il risultato dei referendum, è necessario un ragionamento politico lucido”. E che l’allargamento al centro sarà inevitabile. E’ arrivato il momento di un confronto che contempli anche la contendibilità del partito, la sfida a Schlein per imporre un ritorno a una visione maggioritaria del Pd? “Tutto si può dire al Pd fuori che la sua guida non sia contendibile. Di niente poi si discute di più che di alleanze e allargamenti: al centro e in alto nella rappresentanza, a sinistra e in basso tra i non ancora rappresentati”, argomenta l’ex ministro. “Quello che il Pd deve chiarirsi è se i problemi li vuole risolvere, non dico ora ma almeno domani, o solo agitarli o cavalcarli in vista dell’antico lontano avvenire. Se invece, come io penso, la scelta deve farsi carico della soluzione dei problemi del presente, certo pensando al futuro, ma nel presente, la politica non può non riconoscere che il centro della sua azione è il governo. Non solo andare grazie al voto dei cittadini al governo, ma governare. Il Pd deve recuperare l’impazienza di governare, di proporre all’Italia una alternativa al governo presente. Nell’interesse degli italiani e, come ha detto Castagnetti, del funzionamento della democrazia, che oggi rischia di tornare di nuovo bloccata. Tutto il resto ne viene di conseguenza a cominciare dagli allargamenti”.
Basta, per i cosiddetti riformisti, continuare a fare una battaglia di testimonianza piegandosi alle scelte del Nazareno che guardano sempre più a sinistra che non al centro, o è il momento di reclamare risposte concrete? “Non reclamare risposte, declinare proposte. È dalle proposte, quelle pensate per il governo che si capisce se ci sono i riformisti, e se sono anche riformatori”, spiega allora in conclusione Parisi. “Ma proposte svolte e difese nelle sedi e con forme efficaci. Di battaglie onestamente ne vedo poche. Ma se di testimonianza servono solo a testimoniare la propria esistenza. Mi basterebbe che finisse il tempo delle assemblee concluse con un voto che all’unanimità dei votanti presenti dice di aver ascoltato e approvato la relazione che su tutto ha svolto la segretaria di turno”.
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